Scintille sulla paglia. Parte seconda: l’alba del popolo

Il Bogd, lo Tsar, l’istituzione dell’autonomia

Il XX secolo sorgeva trovando la Mongolia devastata da una debilitante crisi del debito senza successo gestita dai Manchu per più di un secolo. Le condizioni di vita nel paese, in particolare per i comuni arad più poveri, erano diventate sempre più dure con il passare dei decenni. Le sommosse urbane nella capitale non erano rare, mentre le famiglie più misere abbandonavano gli hoshun che avevano costituito la base delle suddivisioni amministrative del paese, ora sempre più dispersi, cercando di fuggire dall’oppressione degli oneri feudali verso i loro signori secolari e religiosi. La priorità dei Qing nella regione era tuttavia quella di contrastare il recente consolidamento russo in Siberia, che minacciava la loro frontiera settentrionale. Parte del tentativo di modernizzazione attuato dalla dinastia Manchu, la Nuova Amministrazione, consisteva ora nell’apertura della Mongolia per la colonizzazione e l’insediamento dei cinesi, mentre importanti passi erano stati presi nello stesso periodo per portare la frontiera nord più vicina al centro imperiale. I matrimoni misti tra mongoli e cinesi erano stati ora legalizzati, così come era stata aperta la possibilità ai primi di assumere il linguaggio e i costumi dei secondi. Era stata iniziata la costruzione di una caserma nella capitale mongola di Urga, una base per la futura guarnigione cinese nella città. Nei piani dei Qing, naturalmente i mongoli avrebbero dovuto finanziare il suo mantenimento1.

I noyon secolari e i lama buddisti superiori, che avevano funto da duplici spesso in conflitto classi dominanti feudali nel paese, si trovavano ora minacciati dalla prospettiva che la Mongolia venisse governata, in un prossimo futuro, direttamente da Pechino. Il popolo vedeva invece il pericolo che la colonizzazione cinese li avrebbe privati delle terre per il pascolo su cui basavano la loro sussistenza2. La prospettiva di liberarsi in un colpo solo dalle tasse e dalle corvée dovute all’imperatore, assieme all’odio maturato verso i mercanti cinesi che avevano intrappolato la Mongolia in una gravosa morsa di debiti aizzarono il sentimento di rivolta che già serpeggiava per il paese. I nobili iniziarono a pianificare una dichiarazione di indipendenza ancora prima che la Rivoluzione Xinhai avesse portato alla deposizione della dinastia Qing. Sfruttando la debolezza del governo centrale, dichiararono l’indipendenza, e il 29 dicembre 1911 il Jebtsundamba Khutukhtu, il Buddha Vivente di Urga, fu proclamato ufficialmente Bogd Khaan, “Sacro Imperatore”3.

Cercando protezione e riconoscimento internazionale, si rivolsero verso nord, contattando rapidamente con una delegazione l’Impero Russo. Nel 1911, la Russia non era nella posizione di supportare apertamente e completamente la secessione della Mongolia dallo stato cinese, ma era aveva tutto l’interesse di espandere il proprio controllo nell’area. Doveva muoversi con cautela, a maggior ragione dopo che la sconfitta subita per mano del Giappone aveva ridefinito le sfere di influenza nella regione4. Fu organizzata una conferenza per discutere il fato del paese. Alla chiusura dei tavoli, nel 1915, a Mongolia aveva ottenuto l’autonomia -che di fatto pressoché equivaleva alla piena indipendenza- con una relazione in qualche modo speciale con l’Impero Russo. Trattato alla mano, poteva sembrare un trionfo zarista: il paese era stato reso quasi un protettorato, mantenendo al contempo l’apparenza di fronte alla comunità internazionale di rispettare l’autorità della Cina. Thomas Erwing elenca cosa esattamente andò storto dopo la firma dell’accordo: il governo mongolo avrebbe dovuto alla Russia cinque milioni di rubli, ma il debito non venne mai ripagato, nemmeno in parte; personale militare russo era stato inviato per sovrintendere il reclutamento e l’addestramento di una brigata armata alla moderna, ma il tentativo venne ostacolato dal rifiuto da parte della nobilità locale di collaborare con il nuovo esercito o dalla loro indifferenza; il governo zarista era riuscito a ottenere concessioni per la creazione di una Banca Nazionale Mongola e per la costruzione di ferrovie e telegrafi nel paese, ma fallì in tutte e tre le imprese5; infine, il consigliere finanziario mandato a sovrintendere riforme economiche in Mongolia, riporta Lattimore, nel 1917 passò dalla parte dei Rossi, dopo non aver concluso quasi nulla a causa delle continue ostruzioni dei ministri mongoli6.

Sviluppi sociali durante il regno del Bogd Khaan

Durante il periodo dell’autonomia, i privilegi della classe dei lama, e soprattutto dei monasteri maggiori, furono decisamente accresciuti. I servi albat, che in precedenza erano stati sudditi diretti dell’imperatore manchu, erano ora annoverati tra le proprietà del Bogd Khaan, mentre le tasse dirette al principe supremo della Mongolia ora anch’esse erano versate a Urga anziché Pechino7. Di fatto, gli albat erano stati liberati dagli obblighi e dalle corvée imperiali sono per esservi sottoposti di nuovo, questa volta sotto il tallone di un signore mongolo anziché manchu8. Il budget annuo del Sacro Imperatore si gonfiò da 20mila a quasi un milione lan di argento, mentre le sue greggi contavano anno dopo anno più capi di bestiame9. Questo capitale era però speso il più delle volte in attività improduttive, pensate per rinforzare il potere e l’influenza del governo centrale mongolo e dei signori monastici in particolare. Parte di questi nuovi introiti erano spesi per intraprendere nuovi progetti di costruzione e per incrementare il numero e la grandiosità dei riti e dei festival religiosi. Il più grande di questi, chiamato lo Hailan di 10,000 Gelen, poteva durare fino a 45 giorni ogni anno10. Grandi somme di denaro erano requisite dai feudi secolari e poi ogni anno redistribuite a lama di alto rango sotto forma di speciali stipendi e favori11. Gli shav’, i servi legati a personalità religiose e monasteri, videro la loro condizione peggiorare drasticamente, dato che buona parte dei fondi per queste spese era reperita anche dal loro lavoro. Piuttosto che vedere una qualsiasi forma di miglioramento, per molti tra il popolo la deposizione dei Qing era stata l’inizio di un decennio all’insegna dell’impoverimento. Eventi quali inverni particolarmente duri, la diffusione di malattie, o persino il peggioramento della vista del Bogd Khaan erano usati come pretesto per estrarre nuove tasse dalla popolazione già vessata, allo scopo nominale di organizzare rituali per chiedere il perdono di un dio furibondo -ma anche per calmare la popolazione sempre più insofferente12. Alcune lettere risalenti a questo periodo, citate dallo studioso mongolo D. Tsedev, mostrano che la situazione si era aggravata al punto che alcuni otog degli shav’semplicemente non erano più in grado di pagare le tasse dovute:

“[…] il nostro Otog deve pagare quasi 30,000 lan in tasse, incluse quelle precedenti. Nel nostro otog ci sono più di cento famiglie con dieci o più membri. Il numero totale di bestiame di proprietà di queste famiglie è pari a 11 cavalli, 11 cammelli, 6 vacche, e 154 tra pecore e capre.”13

“[…] dato che è proibito fare ritardo o essere negligenti nei confronti di cerimonie religiose importanti, possiamo organizzarle solo prendendo in prestito denaro da chiunque riusciamo. I debiti stanno venendo registrati a nome del san. Dato che gli shav’ si sono impoveriti a causa di annate cattive, epidemie tra il bestiame, e tasse raddoppiate, chiediamo soldi a interesse per continuare gli obblighi religiosi e anche quelli ufficiali. In questo modo i debiti hanno raggiunto diversi milioni di lan… Il termine ultimo di pagamento dei debiti ai russi è già passato. Per coprire il debito ci servono altri 500,000 lan. Chiediamo il vostro aiuto per pagare i debiti e il vostro supporto per il nostro san impoverito e per gli shav’.”14

La crisi del debito nel frattempo, infatti, non dava segni di miglioramento per la larga parte. Non solo il Bogd Khaan aveva continuato ad essere gravemente indebitato ai cinesi, e più tardi ai russi15, ma gli stessi mercanti che erano stati espulsi nel 1911 ora erano autorizzati nuovamente ad entrare nel paese, in quanto il loro argento era indispensabile, come abbiamo letto, per coprire le spese e le operazioni dello stato16. Gli arad erano stati nuovamente obbligati a ripagare anche questi debiti.

La nobiltà dal canto suo era assolutamente indignata dai costanti abusi di potere delle loro controparti religiose. Le pensioni promesse loro dal nuovo governo non si materializzarono mai, mentre le tesorerie dei loro feudi venivano usati per raccogliere fondi aggiuntivi per cerimonie pensate per accrescere l’influenza del Bogd Khaan a spese del proprio potere locale. Alcune voci accusavano persino la corte del Sacro Imperatore di essere responsabile per la misteriosa morte di alcuni principi particolarmente combattivi nelle proprie rimostranze17. Gli amministratori monastici apparentemente erano anche noti per la pratica di corrompere o forzare i popolani perché si rifiutassero di pagare i propri obblighi feudali e diventassero parte della servitù religiosa, portando un costante flusso di manodopera e risorse verso i feudi monastici18. Un resoconto contemporaneo ai fatti riporta:

“[…] il principio della legge stabilita fu annullato e l’autorità amministrativa ed esecutiva dei vari ministeri di governo fu soppressa e il potere supremo sugli affari di stato fu chiaramente appropriato ed esercitato dal ministero di uno degli aimak [dizione alternativa di aimag], il Feudo Clericale. Da questo punto in poi è diventato impossibile enumerare tutte le occasioni in cui i vari alti lama che erano parte del Feudo Clericale, i quali avevano posizioni nella corte, assunsero completamente il controllo dell’autorità statale, e in tutte le questioni, piccole e grandi, importanti e non, essi presero decisioni arbitrarie, presumibilmente su comando del Re [il Bogd Khaan], e ruppero i tre principi e confusero le cinque costanti dello stato [Sangang Wuchang, principio confuciano], ed in ogni modo immaginabile oppressero, sfruttarono e devastarono il popolo. […] Poi il popolo comune realizzò cosa stava succedendo e iniziò a proferire critiche a riguardo.19

La “rivoluzione” del 1911 era stata vinta da un’alleanza tra le due classi feudali, con il supporto tiepido ma deciso degli arad, ma verso la fine del decennio era chiaro come molte delle sue promesse erano state tradite. Il nuovo Parlamento Nazionale che era stato creato non era che una farsa, composta da membri nominati dall’amministrazione stessa, mentre i nobili vedevano il loro potere diminuire sempre di più ogni anno che passava20. Il movimento popolare che aveva supportato la proclamazione di autonomia espellendo usurai cinesi e ufficiali manchu si era completamente spento21. Tutto il potere era nelle mani della potente classe dei lama e nella persona del Bogd Khaan.

Nuove classi e nuove idee

Lattimore scrive che nel periodo tra il 1911 e il 1917 in Mongolia “virtualmente non ci fu storia, il tempo semplicemente cessò di scorrere”22. Sotto la pallida e calma superficie della società mongola, però, movimenti sotterranei di persone e di idee continuarono a moltiplicarsi e a scavare, pronti a scoppiare in fiamme appena sarebbero stati raggiunti dalle scintille della rivoluzione sociale.

Dopo la dichiarazione di autonomia, vennero erette scuole a Urga per formare nuovi quadri di ufficiali civili e militari23. La precedente amministrazione Qing aveva offerto già al popolo la possibilità di elevarsi dalla propria condizione di miseria servendo ai livelli più bassi della burocrazia nazionale, ma la creazione dei nuovi apparati per il neonato governo fece esplodere la domanda di amministratori capaci e in grado di leggere e scrivere24. Le classi feudali dominanti mostravano poco interesse per queste posizioni di basso livello. Un grande numero di arad trovò pertanto campo libero per inserirsi nelle nuove scuole per amministratori e di conseguenza nella burocrazia nazionale, con poche o nessuna qualifica richiesta. Uno di questi era Khorloogin Choibalsan: un incontro fortuito con T. Danchinov, il direttore della scuola per interpreti nella capitale, lo portò prima a iscriversi all’istituto, e lo vide poi inviato a Irkutsk per studi ulteriori tra il 1914 e il 191725. Quell’anno, una rivoluzione scoppiata più a occidente provocò una brusca interruzione dell’anno accademico. Tutti gli studenti mongoli vennero immediatamente richiamati nel paese, ma alcuni avevano già capito molto bene quello che stava succedendo26.

I nobili mongoli resero molto chiaro molto presto che non avrebbero nemmeno considerato l’idea di partecipare alla creazione di un Esercito Nazionale moderno, ma con qualche remora ne autorizzarono comunque la formazione. Si trattò di una decisione che avrebbe avuto conseguenze estremamente negative per loro. Le caserme dell’esercito diventarono teatro di forme nuove e mai viste prima di solidarietà tra gli arad. I giovani del popolo dai quattro angoli della Mongolia si trovarono per la prima volta a vivere e comunicare in spazi comuni. Confrontavano le proprie esperienze, scrive Isono27, non più come sudditi di questo o quell’hoshun, ma come membri di una “classe”. Presto arrivarono a organizzare ammutinamenti per chiedere condizioni di vita migliori nell’esercito. Un giovane soldato coinvolto in diverse di queste sommosse28, Damidin Sühbaatar, era stato arruolato nell’esercito nel 1912 e addestrato nella guerra moderna. Promosso ufficiale al comando di una unità di mitraglieri, fu poi assegnato provvisoriamente in una stamperia militare a Urga nel 191829. Si stava formando, dai ranghi dei giovani ufficiali dell’esercito e dell’amministrazione, quella che Isono chiama una nuova classe di “intellettuali”, non più necessariamente legata alle istituzioni monastiche o ai nobili secolari30.

Nuove idee avevano iniziato nello stesso periodo a circolare nel paese e a essere discusse nei circoli nei nuovi e dei vecchi intellettuali. Il confine meridionale era sempre stato, storicamente, una sostanziale barriera per il movimento delle persone, e, per Lattimore31, gli stili di vita drasticamente diversi dei contadini e mercanti cinesi e dei pastori mongoli significavano anche poco terreno comune su cui fraternizzare. Il repubblicanesimo rivoluzionario del Dr. Sun Yat-sen non era che un vago e sfocato concetto nella mente del mongolo medio32. Un resoconto contemporaneo non dona che poche righe alla situazione al sud, accennando solo brevemente alla rivoluzione Xinhai del 1911:

“[…] i manchu, i mongoli, i cinesi e i mussulmani, non potevano più davvero sopportare [le condizioni sotto la dinastia Qing], e difficilmente riuscivano a sostentarsi, al punto che nelle province meridionali della Cina scoppiò la rivoluzione del partito rivoluzionario del popolo conosciuto come Ge min dan [Guomindang, also spelt Kuomintang or KMT] che attaccò direttamente il governo della Dinastia Manchu.33

Le steppe aperte del nord, popolata dai cosacchi seminomadi, erano un ambiente completamente diverso. Sunderland porta una descrizione pittoresca delle città gemelle di Kyakhta-Maimaicheng, che fungevano da principale valico di frontiera tra i paesi, come epitome dell’idea di confine, inteso come linea fatta per essere passata34. Dall’altro lato, i sudditi buriati dell’Impero Zarista parlavano una lingua mongolica, ma anche il russo, ed erano quindi perfetti interpreti, e avevano una sviluppata classe di intellettuali locali. Molti condividevano con i vicini a sud anche la loro fede buddista. Pellegrini e viaggiatori avevano iniziato a spargere notizie di moti e di cambiamento che sobbollivano in Russia, ma la maggior parte dei nobili noyon e dei lama, eccetto quelli al governo, ne erano poco o per nulla informati35. Eppure, tra i pastori nel nord del paese si sentivano voci secondo cui il “Khaan Bianco” in Russia era stato deposto, e che il popolo era diventato “senza superiori e sottoposti”36. La comunità russa di Urga si era moltiplicata in numero con l’arrivo di rifugiati ed esuli politici, alcuni dei quali comunisti, altri anti-zaristi in generale, ma il console aveva deciso di rimanere nel campo dei Bianchi. Il quartiere del Consolato era diviso lungo linee politiche ostili e contrapposte37.

Nel tentativo di stabilizzare e migliorare la sua posizione nella Siberia orientale, il signore della guerra zarista Grigory Semënov (1890-1946), supportato dai giapponesi, aveva anche tentato di radunare supporto per la creazione di una “Grande Mongolia”, che avrebbe compreso la Mongolia Interna, Esterna, ma anche la Buriazia. L’idea aveva trovato alcuni sostenitori tra i mongoli interni e i buriati, ma significativamente non nelle istituzioni dei Khalkha. Al contrario di quello che Semënov prima e Ungern-Sternberg poi pensavano, i mongoli esterni avevano sempre visto i loro fratelli dall’altra parte del confine, nelle parole di Lattimore, come “meno mongoli” o perlomeno “mongoli in un modo diverso”38. Non è tra gli obiettivi di questo articolo una trattazione in dettaglio delle ramificazioni del progetto pan-mongolico, che in ogni caso non si materializzò mai. Quello che importa è che minacce dell’atamano Semënov e indicazioni -poi risultate false- di movimenti dei Rossi contro la Mongolia, portarono molti nobili secolari alla conclusione che i lama fossero dopotutto completamente non in grado di difendere il paese39. Già insoddisfatti del modo in cui erano stati trattati dalle istituzioni religiose, alcuni di loro guardarono di nuovo ai cinesi come possibile fonte di protezione40.

1919, la fine del periodo dell’autonomia

Il primo ministro della guerra, il generale noyon Jamyangdorj, iniziò trattative segrete con il rappresentante della Repubblica Cinese a Urga, Chen Yi (riportato come Chen I in alcune fonti). Le due parti raggiunsero un compromesso completo in 65 punti41, che soddisfaceva entrambi e garantiva intatti il rango e privilegi del Bogd Khaan e della nobiltà42. Per assicurare la protezione del paese contro i russi, una guarnigione cinese sarebbe stata di nuovo invitata a stazionare nella capitale43. Il generale della cricca di Anhui Xu Shuzheng (Hsu Shü-cheng in diverse fonti) fu nominato dal governo repubblicano per gestire il dispiegamento di truppe in Mongolia.

Xu andò ben oltre la semplice supervisione. Il generale fece una nuova offerta ai nobili mongoli, stracciando l’accordo stipulato da Chen Yi e rimpiazzandolo con un radicale progetto di modernizzazione che gli occhi dei locali non era altro che la riproposizione delle politiche Qing del 191144. Resoconti mongoli riportano che Xu avrebbe minacciato le camere del Parlamento Mongolo, o forse il Bogd Khaan e il Primo Ministro, forzando il governo a capitolare con le armi45. Tra il popolo invece si era diffusa una differente notizia, scrive Isono, ovvero che il Primo Ministro stesso sarebbe stato coinvolto nel colpo di mano46. Tra gli arad era diventata popolare una canzone secondo cui “Badamdorj e i principi hanno venduto i mongoli per argento e seta”47. Non è difficile capire il perché: dopo anni di condizioni sempre peggiori, vedendo il capitale e le risorse della nazione depredate prima dai cinesi e poi dai russi, era sentimento comune che i “pezzi grossi hanno sempre svenduto la Mongolia”48. Tutte le unità dell’esercito mongolo si trovarono congedate da un momento all’altro e il Bogd Gegeen fu obbligato a partecipare a una cerimonia umiliante durante la quale fu forzato a inchinarsi di fronte un ritratto del presidente cinese49. Il periodo dell’Autonomia era finito.

Il gruppo del popolo e il gruppo dei funzionari civili

Poco dopo la revoca forzata dell’autonomia, alcuni manifesti di propaganda iniziarono ad apparire nelle strade di Urga, chiamando a gran voce l’espulsione delle truppe cinesi dal paese50. Una lettera, sprezzantemente affissa su un muro degli alloggi del generale Xu Shuzheng in persona andava invece ben oltre, denunciando i signori feudali, chiedendo l’abolizione delle cariche ereditarie e l’istituzione di libere elezioni. Erano i primi segni di attività di due gruppi, piccoli ma motivati, che si erano radunati nella capitale. Il Gruppo dei Funzionari Civili51, guidato da Soliin Danzan (1885-1924), a cui si era unito D. Sühbaatar52, era principalmente composto da giovani ufficiali della precedente amministrazione del Bogd Khaan, soprattutto di estrazione arad, e aveva iniziato molto presto a pianificare azioni contro l’occupazione cinese. Il Gruppo del Popolo53 aveva iniziato a incontrarsi per discutere di politica e attualità nella yurta del lama di basso rango Dogdomyn Bodoo (1885-1922), che condivideva la sua tenda con Kh. Choibalsan, al tempo un giovane studente54. Insieme a lama letterati di basso rango i loro incontri iniziarono a presentarsi una serie di intellettuali buriati e dissidenti russi, grazie ai cui contributi il gruppo sviluppò presto idee sempre più radicali.

Nonostante i due gruppi insieme probabilmente non avrebbero contato in quel periodo più di una dozzina di persone55, furono presto oggetto dell’attenzione del Comitato Rivoluzionario che si era formato tra gli anti-zaristi russi all’interno dei quartieri consolari della capitale56. Fu organizzato un incontro tra i mongoli e il membro dell’Uprava Sorokovikov, che a sua volta stabilì un canale di comunicazione tra loro e i Rossi57. Gli sviluppi seguenti sono stati illustrati da molti studiosi58, ma una loro analisi approfondita è oltre i limiti d’indagine di questo articolo. I due gruppi, dopo fasi di avvicinamento e collaborazione iniziali, nel 1920 si erano fusi e avevano dichiarato la nascita di un nuovo Partito del Popolo Mongolo (Mongol Ardyn Nam, MAN). Il primo giuramento del documento fondativo dell’organizzazione proclamava a gran voce il suo obiettivo primario:

“Ripristinare i diritti persi della Mongolia, rafforzare lo stato e la religione, difendere con vigore la nazione mongola, correggere e modificare la politica interna del paese, occuparsi pienamente degli interessi delle masse arad, proteggere i [loro] diritti e porre fine alla sofferenza delle masse lavoratrici e all’oppressione dell’uomo sull’uomo”59.

La retorica rivoluzionaria è cautamente ricamata attorno a uno scopo con il potenziale di essere un catalizzatore di unità -la liberazione nazionale. La difesa del buddismo era diventata un simbolo di orgoglio nazionale e la fede aveva una presa ancora molto forte sulle persone comuni60. Venne adotta quasi da subito come uno dei pilastri della comunicazione del partito su suggerimento di Dogsom61 e una relazione complessa con il buddismo rimase una componente rilevante del MAN per decenni62. Alla fine dello stesso anno, ritroviamo diversi membri del partito in Siberia, occupati a raccogliere forze e armi, e soprattutto supporto dai Bolscevichi, dei quali ora si potevano considerare pienamente alleati. Quasi entusiaste e piene di fervore rivoluzionario all’inizio, le comunicazioni tra i due partiti verso gli ultimi mesi del 1920 erano di molto rallentate63. Le energie e le attenzioni dei russi si erano rivolte altrove, verso le battaglie in Polonia ad ovest e nello scontro con Semënov a est, oltre il lago Bajkal64.

Ungern entra in Mongolia

La situazione venne completamente capovolta quando il barone Ungern-Sternberg lanciò la sua “Campagna Mongola”, valicando il confine del paese da est nell’autunno del 1920 e muovendo rapidamente sulla capitale. Sunderland dedica diverse pagine alla trattazione di questa spedizione e alle motivazioni che l’avevano mossa. Inizialmente, era stata parte di un piano, portato avanti in collaborazione con l’atamano Semënov, per tagliare le linee di rifornimento dei Rossi in Siberia65, ma Ungern aveva presto abbandonato gli obiettivi iniziali, ed era ora sua intenzione rimuovere con la forza la guarnigione cinese nella capitale mongola. L’idea era ora quella di riportare sul trono il potere imperiale del Bogd Gegeen, e usare il paese come rampa di lancio per fare lo stesso con lo Zar in Russia66. Dopo un primo, fallimentare tentativo di prendere Urga in due attacchi frontali, aveva richiamato le truppe e si era acquartierato per l’inverno. In preparazione a un terzo attacco, inviò poi un distaccamento di cavalleria per catturare il Bogd Gegeen, o, più appropriatamente, per liberarlo dai cinesi che l’avevano arrestato67. Proprio come il MAN, Ungern aveva capito molto bene l’importanza del Bogd agli occhi dei mongoli e la legittimazione che poteva derivare dalla sua figura. Fino a quel momento, agenti del partito erano riusciti ad acquisire e mantenere una linea di comunicazione con il Buddha Vivente e addirittura ad ottenere il suo supporto per il MAN68. Il colpo di mano di Ungern pose completamente fine a queste negoziazioni. Nel corso dell’inverno, e anche prima della cattura del Sacro Imperatore, i reggimenti della Divisione Asiatica del barone erano stati rinforzati da diversi volontari mongoli guidati dai principi Dugarjab e Lubsantseven69. Molti, soprattutto tra i nobili secolari, stavano iniziando a vedere il barone come un nuovo, potente alleato nella loro lotta per la liberazione nazionale70. Dopo un terzo attacco nel febbraio 1921, Ungern finalmente riuscì ad assaltare la città e mettere in fuga la guarnigione. Per ringraziarlo, il Bogd emise un editto ordinando ai suoi sudditi la piena obbedienza incondizionata a Ungern71. Il controllo del barone sulla Mongola fu formalizzato dalla formazione di un governo fantoccio, riempito di principi nazionalisti e lama leali a lui72.

La presa di Urga aveva avuto anche un risultato molto più macabro. L’assedio invernale aveva affamato la popolazione, e l’odio verso i cinesi era aumentato ancora di più dopo che le loro truppe avevano aperto il fuoco su un gruppo di lama disarmati73. Quando il morale della guarnigione era collassato, si era scatenato un doppio massacro: i Bianchi avevano iniziato un pogrom contro gli abitanti ebrei della città e avevano fatto a pezzi o impiccato i russi anti-zaristi; la popolazione mongola invece aveva lanciato un’ondata di saccheggi contri i negozi dei commercianti cinesi74. Per fermare il secondo di questi massacri (non aveva reali problemi con il pogrom contro gli ebrei) Ungern aveva imposto una serie di misure draconiane, giustiziando un gran numero di mongoli ed esponendone i corpi per le strade della città75. Choibalsan avrebbe poi raccontato la scena come segue:

“Sui pali, sui portoni delle compagnie, sui piloni – ovunque pendevano i corpi dei cinesi, russi e mongoli che erano stati impiccati. I banditi [le truppe di Ungern] non avevano risparmiato nessuno, impiccando uomini e donne, vecchi e anche bambini. […] Ungern perseguitò brutalmente gli ebrei, uccidendoli tutti – uomini, donne, giovani e vecchi”76.

I pastori che avevano evitato le requisizioni dei cinesi durante la loro ritirata verso Kyakhta erano ora soggetto delle confische delle truppe di Ungern, mentre anche loro si muovevano verso nord, entrambe le quali spesso degeneravano in rapina e saccheggio. In più, dopo che l’iniziale euforia nazionalista era passata, Ungern era passato alla coscrizione forzata per rimpiazzare le perdite tra le sue truppe77. Questi atti di brutalità stavano iniziando a portare l’arad, ma anche i nobili monastici e secolari, che avevano accolto inizialmente questo sconosciuto liberatore a braccia aperte, contro il barone.

Radunare le forze

La presa di Urga ad opera del barone Ungern-Sternberg e la sua decisione di muovere direttamente verso nord aveva anche decisamente scosso dal loro torpore i Bolscevichi, allertati dei suoi movimenti dal MAN78. Sühbaataryn Yanjmaa (1893-1962) era infatti rimasta nella capitale durante l’assedio e i massacri, e continuava clandestinamente a coordinare i pochi agenti del partito non ancora arrestati, fuggiti o uccisi per fornire informazioni al MAN79. Già l’8 di febbraio, la Quinta Armata Rossa aveva ricevuto l’ordine di dirigersi a Troitskosavsk, proprio sul lato russo del valico di frontiera di Kyakhta. Il 10, il Segretariato per l’Estremo Oriente del Comintern, dopo mesi di silenzio, approvò rapidamente lo stanziamento di armi e rifornimenti per la creazione quanto prima possibile di un Esercito Popolare Mongolo80. Lavori di diversi studiosi81 rendono chiaro che il fattore principale di questa improvvisa chiamata all’azione era il pericolo posto da Ungern alle linee di riferimento dei Rossi. Il noto “Ordine n. 15” diffuso dal barone, con cui annunciò il suo affondo verso nord, non fece altro che alimentare le preoccupazioni dei Bolscevichi82. All’interno del pamphlet, non solo affermava di star agendo in coordinazione con Semënov (probabilmente non più vero), ma suggeriva anche di godere dell’appoggio dei giapponesi (assolutamente falso)83. Fosse stato però vero, la posizione Bolscevica in Mongolia, in caso di una sconfitta ad opera del barone, sarebbe diventata completamente indifendibile. Dopo un primo fallimentare tentativo di contattare la Repubblica Cinese, decisero di agire da sé per porre una volta per tutte fine al pericolo84.

Il Partito del Popolo Mongolo decise in marzo di riunire tutti i membri ancora vivi e in libertà il prima possibile nella città di Troitskosavsk, dove stavano già venendo radunate le forze per difendere il confine. La prima sessione della conferenza, che sarebbe stata poi ricordata come il Primo Congresso del partito, nominò D. Sühbaatar generale in capo dell’esercito ed elesse un Comitato Centrale guidato da S. Danzan85. Congiuntamente, si sarebbero anche dovuti occupare della propaganda. Kh. Choibalsan e D. Sühbaatar nei mesi precedenti erano riusciti a iniziare a mobilitare i pastori mongoli da un lato e dall’altro del confine e a organizzarli in piccole unità partigiane86. La seconda sessione del congresso discusse e approvò invece una nuova e più radicale piattaforma per il partito. Il preludio del manifesto era stato scritto dall’intellettuale buriato Ts. Zhamtsarano (1881-1942), un vecchio amico che Bodoo aveva incontrato mentre lavorava nella scuola per interpreti di Urga e che si era unito là ai primi gruppi rivoluzionari87. Si legge quanto segue:

“In un momento in cui tutti i popoli della terra stavano lottando per la libertà e il diritto di sviluppare i propri usi e culture, i lavoratori arad e gli intellettuali della Mongolia, impegnando completamente le loro forze e i loro beni, si sono sollevati per combattere perché sia restituita al popolo mongolo l’autorità sulle loro terre ancestrali. Per raggiungere questo obiettivo hanno organizzato il Partito del Popolo Mongolo”88.

Il partito cercava ancora alleanze con le sezioni di nobiltà secolare e religiosa che avevano mostrato opposizione tanto verso i cinesi quanto opposto il governo fantoccio di Ungern, ma ora l’allineamento politico del MAN era cambiato. I documenti di propaganda usavano ancora il sigillo del Bogd Khaan, che egli aveva apposto al suo supporto al partito in precedenza, per mobilitare il supporto degli arad religiosi e di coloro che supportavano il vecchio ordine contro gli invasori89. Il partito era però ora più che convinto che l’alta nobiltà avesse tradito il popolo alleandosi con i cinesi durante la crisi del 1919 prima e con le forze Bianche poi90. Gli obiettivi a breve termine del partito elencati nella proclamazione e pubblicati erano invece molto più moderati: liberare il paese dai cinesi e dalle Guardie Bianche, ristabilire l’indipendenza91.

Epilogo: la presa della fortezza di Kyakhta e l’inizio della rivoluzione

Larghe sezioni del popolo mongolo accolsero positivamente la piattaforma del partito: in meno di un mese, il piccolo reggimento partigiano agli ordini di Sühbaatar aveva raggiunto i 400 effettivi. Lattimore92 e Isono93 hanno lasciato uno straordinario sommario della natura di questi volontari, basato sulle loro memorie pubblicate dopo la rivoluzione94. Molti di loro, circa la metà, avevano fatto parte dell’esercito nel corso della loro vita: come abbiamo visto, le forze armate erano state proprio il primo teatro della formazione della coscienza degli arad come classe. Alcune delle reclute erano arrivate come distaccamenti guidati dai principi di frontiera che avevano risposto alla chiamata alle armi del MAN, e che avevano portato con sé i propri servitori in armi (spesso contro la loro volontà). Trenta uomini erano stati mobilitati da un amministratore locale arad, Gonchigiin Bumtsend (1881-1953), futuro generale e capo di stato della Repubblica Popolare Mongola. I posti di frontiera erano stati uno degli obiettivi principali della propaganda del partito, dato che controllando quelli era possibile muoversi direttamente dentro il paese. Le loro guarnigioni erano inoltre composte principalmente da coscritti arad, ideologicamente motivati e già addestrati alla guerra. Anche se qualche intellettuale effettivamente si era unito alla causa, la vasta maggioranza dei volontari erano pastori poveri, cacciatori, servi impiegati nei gravosi compiti di corrieri e messaggeri. Avevano risposto alla chiamata per scacciare gli invasori stranieri, non per portare la rivoluzione sociale, ma come Lattimore sottolinea, in quei ranghi trovavano posto tutte le schiere dei “mongoli che avevano perso la fede nei loro capi tradizionali”95, che non avevano fatto altro che venderli al miglior offerente e tenerli in povertà per secoli.

La notte del 17 marzo, truppe dell’Esercito Popolare Mongolo si raggrupparono e iniziarono la marcia contro la fortezza di frontiera cinese di Kyakhta-Maimaicheng96. Commissari politici erano stati assegnati a ogni unità in preparazione dell’assalto. All’alba, avevano sfondato la prima linea di difesa, presa completamente di sorpresa. Dopo un primo tentativo fallito di prendere il forte con un colpo di mano, armati con un cannone e quattro mitragliatrici fornite dai Bolscevichi, il reggimento di 400 sciabole riuscì a sopraffare gli 8000 uomini della guarnigione97. La mattina del 19, il Governo Provvisorio del Popolo e il Comitato Centrale del MAN arrivarono a Kyakhta da Troitskosavsk, marcando la prima vera vittoria del partito e il vero inizio della Rivoluzione del Popolo.

Note

  1. Thomas E. Erwing, Russia, China, and the Origins of the Mongolian People’s Republic, 1911-1921: A Reappraisal, in The Slavonic and East European Review, Jul. 1980, Vol. 58, No. 3, S. Maney and Son, Leeds 1980, pp 400-402. ↩︎
  2. Fujiko Isono, The Mongolian Revolution of 1921, in Modern Asian Studies, Vol. 10, No. 3, Cambridge University Press, 1976, p. 376. ↩︎
  3. T. E. Erwing, art. cit. (1980), pp 402. ↩︎
  4. F. Isono, art. cit. (1976), p. 377. ↩︎
  5. T. E. Erwing, art. cit. (1980), pp 404-405. ↩︎
  6. Owen Lattimore, Nomads and Commissars: Mongolia Revisited, Oxford University Press, New York, 1962, p. 54. ↩︎
  7. Academician Shakdarjav Natsagdorj, The Economic Basis of Feudalism in Mongolia, in David Sneath, Cristopher Kaplonski (ed.), The History of Mongolia, Global Oriental, Folkestone 2010, pp. 702. ↩︎
  8. F. Isono, art. cit. (1976), p. 376. ↩︎
  9. D. Tsedev, The Social and Economic Situation of the Shav, in David Sneath, Cristopher Kaplonski (ed.), The History of Mongolia, Global Oriental, Folkestone 2010, pp. 784-786. ↩︎
  10. Ivi, pp. 781. ↩︎
  11. Ibidem. ↩︎
  12. D. Tsedev, art. cit., pp. 783-784. ↩︎
  13. Lettera dal capo di otog Puntsag all’amministrazione di Ikh Khuree (Urga), datata 7 luglio 1914, citata in D. Tsedev, The Social and Economic Situation of the Shav, in David Sneath, Cristopher Kaplonski (ed.), The History of Mongolia, Global Oriental, Folkestone 2010, p. 785. ↩︎
  14. Lettera dal khamba nomon khan, in carica delle cerimonie religiose e dei monaci in Ikh Khüree e dal suo vice, diretta al ministero degli affari interni, datata 1912, citata in D. Tsedev, The Social and Economic Situation of the Shav, in David Sneath, Cristopher Kaplonski (ed.), The History of Mongolia, Global Oriental, Folkestone 2010, p. 787. ↩︎
  15. Khorloogiin Choibalsan, A Short Outline of the History of the Mongolian People’s Revolution, The November 8th Publishing House, Ottawa 2022, pp. 7-9 ↩︎
  16. F. Isono, art. cit. (1976), p. 378. ↩︎
  17. T. E. Erwing, art. cit. (1980), p. 408. ↩︎
  18. Charles R. Bawden (Traduttore), A Contemporary Mongolian Account of the Period of Autonomy, in The Mongolia Society Bulletin, Spring, 1970, Vol. 9, No. 1 (16), Mongolia Society, 1970, p. 22. ↩︎
  19. Ivi, p. 23. ↩︎
  20. T. E. Erwing, art. cit. (1980), p. 408. ↩︎
  21. F. Isono, art. cit. (1976), pp. 377-378. ↩︎
  22. Quoted by Cristopher Kaplonski, The Lama Question: Violence, Sovreignty, and Exception in Early Socialist Mongolia, University of Hawai’i Press, Honolulu 2014, p. 47. ↩︎
  23. C. R. Bawden (Trad.), op. cit., p. 23. ↩︎
  24. T. E. Erwing, art. cit. (1976) 1980, p. 410. ↩︎
  25. Thomas E. Erwing, The Origin of the Mongolian People’s Revolutionary Party: 1920, in Mongolian Studies, 1978 & 1979, Vol. 5, Mongolian Society, 1979, pp. 84 ↩︎
  26. O. Lattimore, op. cit., p. 85. ↩︎
  27. F. Isono, art. cit. (1976), p. 379. ↩︎
  28. T. E. Erwing, art. cit. (1979), p. 89. ↩︎
  29. O. Lattimore, op. cit., p. 83. ↩︎
  30. F. Isono, art. cit. (1979), pp. 117-118. ↩︎
  31. O. Lattimore, op. cit., p. 69. ↩︎
  32. Ivi, p. 68. ↩︎
  33. C. R. Bawden (Trans.), op. cit., p. 7. ↩︎
  34. Willard Sunderland, The Baron’s Cloak: a History of the Russian Empire in War and Revolution, Cornell University Press, Ithaca 2014, pp. 91-94. ↩︎
  35. Irina Y. Morozova, Socialist Revolutions in Asia: The Social History of Mongolia in the Twentieth Century, Rutledge, New York 2014, p. 37. ↩︎
  36. F. Isono, art. cit. (1976), p. 379. ↩︎
  37. O. Lattimore, op. cit., p. 71. ↩︎
  38. Ivi, p. 61. ↩︎
  39. F. Isono, art. cit (1979), p. 120. ↩︎
  40. T. E. Erwing, art. cit (1980), p. 407. ↩︎
  41. Esiste una lieve discordanza nelle fonti: T. E. Erwing, Russia, China, and the Origins of the Mongolian People’s Republic, 1911-1921: A Reappraisal, in The Slavonic and East European Review, Jul. 1980, Vol. 58, No. 3, S. Maney and Son, Leeds 1980, p. 410 cita 63 punti. Baso la mia ricostruzione su Charles R. Bawden (Trans.), A Contemporary Mongolian Account of the Period of Autonomy, in The Mongolia Society Bulletin, Spring, 1970, Vol. 9, No. 1 (16), Mongolia Society, 1970. ↩︎
  42. C. R. Bawden (Trans.), op. cit., p. 24 and Kh. Choibalsan, op. cit., p. 11. ↩︎
  43. T. E. Erwing, art. cit. (1980), p. 407. ↩︎
  44. Ivi, p. 410. ↩︎
  45. C. R. Bawden (Trans.), op. cit., p. 25 e Kh. Choibalsan, op. cit., p. 12. ↩︎
  46. F. Isono, art. cit. (1976), p. 381. ↩︎
  47. Ibidem. ↩︎
  48. O. Lattimore, op. cit., p. 65. ↩︎
  49. Kh. Choibalsan, op. cit., p. 16. ↩︎
  50. F. Isono, art. cit. (1976), p. 382. ↩︎
  51. Civil servants’ group, noto anche come il Gruppo di Urga Est (East Urga Group). Il gruppo era stato fondato da membri dissidenti del parlamento mongolo e funzionari pubblici. ↩︎
  52. Hiroshi FUTAKI, A Re-examination of the Establishment of the Mongolian People’s Party, Centring on Dogsom’s Memoir, in Inner Asia, 2000, Vol. 2, No. 1, celebrating the 80th birthday of Urgunge Onon, Brill, 2000, p. 52. ↩︎
  53. People’s Group, noto anche come il Gruppo della Collina Consolare (Consular Hill Group). ↩︎
  54. T. E. Erwing, art. cit. (1979), p. 85. ↩︎
  55. H. Futaki, art. cit, p. 43. ↩︎
  56. F. Isono, art. cit. (1976), p. 381. ↩︎
  57. F. Isono, art. cit. (1979), p. 122. ↩︎
  58. Vedere i lavori già citati di Isono e Erwing, e più recentemente Futaki. ↩︎
  59. Kh. Choibalsan, op. cit., p. 22. ↩︎
  60. F. Isono, art. cit. (1976), p. 383. ↩︎
  61. H. Futaki, art. cit, p. 43. ↩︎
  62. Per una analisi complete e nel dettaglio delle relazioni tra MA(K)N, lama e buddismo, vedere Cristopher Kaplonski, The Lama Question: Violence, Sovreignty, and Exception in Early Socialist Mongolia (University of Hawai’i Press, Honolulu 2014). La crisi menzionata sfocerà in una serie di epurazioni a opera di Kh. Choibalsan tra i lama di alto rango che fondamentalmente spazzerà via la loro formazione come classe. Le origini, i motivi, i processi che portarono a questa fase sono oggetto di indagine e studio, e trovano, almeno secondo l’autore, le loro radici proprio in questa scelta iniziale del MAN. ↩︎
  63. F. Isono, art. cit. (1979), p. 124 ↩︎
  64. T. E. Erwing, art. cit. (1980), p. 415-416. ↩︎
  65. W. Sunderland, op. cit, pp. 165-169. ↩︎
  66. Ivi, p. 183. ↩︎
  67. Ivi, p. 172. ↩︎
  68. T. E. Erwing, art. cit. (1980), p. 415. ↩︎
  69. Kh. Choibalsan, op. cit., pp. 35-36. ↩︎
  70. F. Isono, art. cit. (1976), p. 386. ↩︎
  71. Ivi, p. 387. ↩︎
  72. F. Isono, art. cit. (1979), p. 133. ↩︎
  73. W. Sunderland, op. cit, pp. 176-177. ↩︎
  74. Ivi, p. 174. ↩︎
  75. Ibidem. ↩︎
  76. Kh. Choibalsan, op. cit., p.38. ↩︎
  77. W. Sunderland, op. cit, p. 178. ↩︎
  78. F. Isono, art. cit. (1979), p. 132-133. ↩︎
  79. Kh. Choibalsan, op. cit., p. 42. ↩︎
  80. T. E. Erwing, art. cit. (1979), p. 417. ↩︎
  81. F. Isono, art. cit. (1976), p. 386-387, T. E. Erwing, art. cit. (1979), p. 400, ma soprattutto F. Isono, art. cit. (1979), p. 128-131. ↩︎
  82. W. Sunderland, op. cit, pp. 197-198. ↩︎
  83. Ibidem. ↩︎
  84. F. Isono, art. cit. (1979), p. 133. ↩︎
  85. T. E. Ewing, art. cit. (1980) p. 418. ↩︎
  86. Kh. Choibalsan, op. cit., p. 42. ↩︎
  87. T. E. Ewing, art. cit. (1979) p. 82. ↩︎
  88. Citato in Kh. Choibalsan, op. cit., p. 49. ↩︎
  89. Ivi, pp. 54-55. ↩︎
  90. F. Isono, art. cit. (1979), p. 134. ↩︎
  91. Kh. Choibalsan, op. cit., pp. 50-52. ↩︎
  92. O. Lattimore, op. cit., pp. 76-77. ↩︎
  93. F. Isono, art. cit. (1976), p. 389. ↩︎
  94. Entrambi gli autori stanno citando The Narratives of the Mongol Partisans (МонголАрдынЖурамтЦэргийндурдатгалууд), pubblicato in due volumi in mongolo (Ulan Bator, 1961 and 1969), che contiene le memorie di più di 470 partigiani così come le hanno raccontate, alcune copie del quale sono ancora disponibili nell’Archivio Nazionale Mongolo. ↩︎
  95. O. Lattimore, op. cit., p. 87. ↩︎
  96. Seguiamo la ricostruzione degli eventi fornitaci da Choibalsan per il paragrafo: Kh. Choibalsan, op. cit., pp. 69-71. ↩︎
  97. F. Isono, art. cit. (1976), p. 390. ↩︎

Bibliografia per la seconda parte

Libri

Cristopher KAPLONSKI, The Lama Question: Violence, Sovreignty, and Exception in Early Socialist Mongolia, University of Hawai’i Press, Honolulu 2014.

Owen LATTIMORE, Nomads and Commissars: Mongolia Revisited, Oxford University Press, New York, 1962.

Irina Y. MOROZOVA, Socialist Revolutions in Asia: The Social History of Mongolia in the Twentieth Century, Rutledge, New York 2014.

Willard SUNDERLAND, The Baron’s Cloak: a History of the Russian Empire in War and Revolution, Cornell University Press, Ithaca 2014.

Articoli

Thomas E. ERWING, The Origin of the Mongolian People’s Revolutionary Party: 1920, in Mongolian Studies, 1978 & 1979, Vol. 5, Mongolian Society, 1979, pp. 79-105.

Thomas E. ERWING, Russia, China, and the Origins of the Mongolian People’s Republic, 1911-1921: A Reappraisal, in The Slavonic and East European Review, Jul., 1980, Vol. 58, No. 3, S. Maney and Son, Leeds 1980, pp. 399-421.

Hiroshi FUTAKI, A Re-examination of the Establishment of the Mongolian People’s Party, Centring on Dogsom’s Memoir, in Inner Asia, 2000, Vol. 2, No. 1, celebrating the 80th birthday of Urgunge Onon, Brill, 2000, pp. 37-60.

Fujiko ISONO, The Mongolian Revolution of 1921, in Modern Asian Studies, Vol. 10, No. 3, Cambridge University Press, 1976, pp. 375-394.

Fujiko ISONO, Soviet Russia and the Mongolian Revolution of 1921, in Past & Present, May, 1979, No. 83, Oxford University Press, 1979, pp. 116-140.

Academician Shakdarjav NATSAGDORJ, The Economic Basis of Feudalism in Mongolia, in David SNEATH, Cristopher KAPLONSKI (ed.), The History of Mongolia, Global Oriental, Folkestone 2010, pp. 692-704

D. TSEDEV, The Social and Economic Situation of the Shav, in David SNEATH, Cristopher KAPLONSKI (ed.), The History of Mongolia, Global Oriental, Folkestone 2010, pp. 771-788.

Traduzioni di documenti e fonti primarie

Charles R. BAWDEN (Traduttore), A Contemporary Mongolian Account of the Period of Autonomy, in The Mongolia Society Bulletin, Spring, 1970, Vol. 9, No. 1 (16), Mongolia Society, 1970, pp. 5-29.

Khorloogiin CHOIBALSAN, A Short Outline of the History of the Mongolian People’s Revolution, The November 8th Publishing House, Ottawa 2022 (Basato sulla traduzione in lingua russa di: Khorloogiin CHOIBALSAN, Mongolyn Khuv’sgalyn (Tovch) Tuukh, Ulan Bataar, 1947).

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