Catalogna: analisi di una rivoluzione stroncata sul nascere

catalunya3.jpg

In questo periodo abbiamo tutti sott’occhi una potenziale rivoluzione, nelle periferie dell’Europa Unita: la questione catalana, che merita una visione atta a riflettere sulle possibili evoluzioni di questa insurrezione per porla come esempio di sommossa popolare del nostro secolo. Non è obiettivo della presente trattazione analizzare specificatamente ogni accaduto della situazione in Catalogna, bensì s’intende confrontare i fatti di oggi con quelli storici di passate esperienze insurrezionali o rivoluzionarie.

Ad oggi, la manifestazione catalana non ha ancora raggiunto lo status di rivolta armandosi contro l’oppressione, a causa della mancanza di volontà della classe dirigente catalana. Chi ritiene che la classe dominante sia una classe conservatrice vede solo l’aspetto esteriore della situazione: la borghesia è una classe rivoluzionaria. La Rivoluzione del Bill of Rights in Inghilterra, la più celebre Rivoluzione Francese, nonostante la fase più specificatamente proletaria del periodo del Terrore, o la stessa Rivoluzione di Febbraio nel 1917 sono tutte prese di potere specificatamente borghesi a discapito delle istituzioni aristocratiche di stampo feudale, e sbarazzandosene si può inaugurare la cosiddetta “Repubblica Democratica”, l’istituzione ideale per lo sviluppo, la maturazione e la putrefazione del modello socioeconomico del capitalismo. Quindi, la borghesia attua le sue rivoluzioni a discapito di un sistema che non riesce più a contenere le spinte espansionistiche dell’economia capitalista, e ciò determina il fatto che in Catalogna vi sia un così forte appoggio da parte degli industriali e degli alti gradi delle aziende catalani nei confronti di una secessione rispetto alla monarchia spagnola, proprio in quanto la Catalogna è la regione economica più dinamica della Spagna, e pertanto ha già bisogno di una Repubblica governata direttamente dalla classe dominante locale, laddove nel resto della Spagna vi sono ancora bisogni di autorità almeno nominalmente feudali. Allora perché in Inghilterra non vi sono moti in questo senso, non supportati dal maggiore dinamismo economico, nonostante la presenza della monarchia? La risposta risiede nella storia della classe dirigente britannica, che già alla fine del XVII secolo, con la sopracitata Rivoluzione del Bill of Rights, aveva pienamente preso potere, approfittando dello spaesamento della Corona per soffiarle, dopo comunque la fase repubblicana di Cromwell, pressoché ogni autorità.

A ciò si aggiunge un altro fattore, evidentissimo nei fatti catalani dalla ritrosia del presidente Puigdemont, culminata con l’accettazione dell’apertura delle trattative con Madrid otto secondi dopo la dichiarazione d’indipendenza: la borghesia evita nella maniera più assoluta che il popolo insorga armato all’oppressione spagnola, attuata con l’esercito e le celebri forze dell’ordine madrileno, ossia la Guardia Civil. Ma se è l’inconscio obiettivo della classe dirigente catalana giungere “democraticamente” all’indipendenza, con i regressi e le motivazioni che tutti conosciamo e che sono già stati trattati in altra sede (lo Spartaco, «Voleu que Catalunya sigui un Estat independent en forma de República?», 3 ottobre), questa evita l’armamento del popolo per timore che si renda cosciente e che usi le armi fornite, contro sia l’occupazione castigliana, sia contro le stesse autorità catalane, rappresentanti di coloro che ne sfruttano direttamente il lavoro per il proprio mantenimento e per il proprio guadagno. È da far nota della relativamente larga diffusione di partiti apertamente anticapitalisti quale il CUP, Candidatura d’Unitat Popular, che con un 8% alle elezioni della Generalitat in Barcellona si può riconoscere il suo lavoro di agitazione e di propaganda per rendere cosciente il proletariato catalano, nonostante non riesca ad emergere come partito-guida, o perlomeno a far volgere la rivoluzione “democratica” in atto a proprio favore a causa della sua tendenza tradeunionista, molto simile agli economicisti criticati duramente da Vladimir Il’ič Ul’janov in varie sue pubblicazioni. Il CUP difatti non assolve minimamente allo scopo di vero partito proletario, non cerca di essere l’avanguardia delle rivendicazioni di qualsiasi classe sociale; a dimostrazione di ciò, quest’organizzazione partitica catalana si è lasciata trascinare come fosse non tanto l’avanguardia, ma la retroguardia di quest’insurrezione capeggiata dagli interessi economici borghesi.

L’organizzazione rivoluzionaria di cui il CUP si dovrebbe dotare per essere un partito marxista, oltre che all’impianto teorico e alla diffusione della letteratura di quel fulgido esempio di anticapitalismo, il marxismo stesso, è per un sostanziale riconoscimento del ruolo delle masse nel raggiungimento dell’indipendenza tramite rivoluzione armata, ribadendo il concetto espresso in precedenza, sulla liberazione al contempo nella lotta di classe e all’imperialismo interno spagnolo. In somma, per il proletariato catalano l’unica via di vera indipendenza è da tutte le oppressioni, senza perpetrare per il CUP una lotta meramente economica, e non badando ai bisogni di teoria e di analisi della società di cui le classi subalterne, non solo il proletariato, ma anche gli studenti, i disoccupati, i braccianti e tutte le classi sfruttate dagli interessi superiori, hanno un’avida necessità. Il CUP si pone di conseguenza come partito staccato dagli interessi del proletariato, non essendo questi meramente economici; pertanto ne segue opportunisticamente l’andazzo ideologico temporaneo, piegandosi alla spontaneità dei moti insurrezionali o rivoltosi delle classi subalterne sugli interessi delle classi possidenti.

Ma come ci si può piegare alla spontaneità istintiva, quando è pervasa comunque, in quanto pensiero proletario nato inconsciamente in una società capitalista la cui forza propagandistica ne determina l’influenza negli stessi modelli di pensiero, da una mentalità conservativa di folla, senza alcun studio ideologico, o perlomeno propaganda contraria alla dominante? Non si può e non si deve, infatti, affossare l’organizzazione rivoluzionaria aspettando tumulti spontanei, confusi e disorganizzati di origine popolare, siccome la stessa organizzazione si contraddice supportando un pensiero attendista in un qualcosa che non è organizzato, per poter spillare alla classe dominante poche concessioni alla volta, che sia a Madrid o a Barcellona, snaturando la stessa lotta economica col suo isolamento dalla lotta politica. Ciò non significa assolutamente forzare la mano alle classi subalterne, o addirittura ad operare seguendo piani terroristici, ma, con una similitudine, preparare l’innesco e la scintilla per il rogo di una società morente.

—Compagno Emanuele

0 Replies to “Catalogna: analisi di una rivoluzione stroncata sul nascere”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *