Bisogna capire innanzitutto cosa significa: assenza di potere. Questo implica che nessuno abbia più potere o meno potere di altri, quindi la classica e ignorante concezione dell’anarchia come il caos in cui ognuno fa quel che gli pare e piace, o addirittura dove vige la legge del più forte, è assai falsa. Se così fosse automaticamente ci sarebbero persone che, per una caratteristica o per un altra, avrebbero più potere di altri. Questa è la differenza tra anarchismo e individualismo. L’unico modo perché nessuno in assoluto abbia più potere o meno potere degli altri è che tutti abbiano lo stesso potere e che lo possano far valere con le stesse possibilità senza mai intaccare il potere altrui, senza creare disuguaglianze. È quindi necessaria la nascita di una concezione del potere collettiva, che sia sì uguale per tutti, ma che diventi proprio di questo “tutti” dunque un potere relativo alla massa nella sua interezza, la massa ha il potere.
Questa è anarchia: tutti hanno lo stesso potere per evitare disuguaglianze sociali, e il miglior modo per esprimere questo potere uguale per tutti, proprio perché è tale, è la democrazia diretta nella quale è possibile che tutti esprimano il proprio potere con uguale libertà di partecipazione al fine di raggiungere una soluzione comune che poi passa al potere collettivo della massa, diventa una sua soluzione una soluzione della massa, che col suo potere la applica.
Il problema è che, nella storia, il movimento anarchico è stato un po’ fiacco sul fronte filosofico a causa del fatto che il pensiero anarchico era diviso in tante correnti e sottocorrenti che mai crearono un unità di pensiero filosofico come invece è il materialismo per il campo socialista. Ma, nonostante sia una pecca storica, si può ben riparare: infatti correnti anarchiche – realmente anarchiche – che adoperano proprio il materialismo come mezzo per analizzare la realtà ci sono. Il problema reale, sul quale nella prima internazionale marxisti e anarchici si scannarono, era il modo di raggiungere una determinata società. Dando per assodato che il mezzo sia la rivoluzione per ambe le parti, come sai, almeno a quel tempo per la parte anarchica, rappresentata soprattutto dal collettivista Bakunin, la dittatura del proletariato di Marx era non solo inutile ma fin troppo rischiosa in quanto, per lui, avrebbe concesso a pochi di diventare la nuova classe dirigente. Praticamente Bakunin stava criticando, con un certo anticipo, i reali pericoli dell’avanguardia esterna alla massa leninista, che di fatti poi diede vita ai problemi e ai rischi in parte enunciati da Bakunin. Per il movimento anarchico l’ente statale andava immediatamente abolito dopo l’insurrezione popolare. C’è da sottolineare che, ad esempio, il più grande teorico e militante anarco-comunista del tempo, Enrico Malatesta, sosteneva una rivoluzione che portasse a delle circostanze favorevoli per la graduale nascita della società anarchica, delle circostanze dalle quali potesse nascere la rivoluzione vera e propria senza le armi. Si parla infatti di gradualismo malatestiano, parte insita nel anarchismo comunista ma che venne adottato anche da altre correnti libertarie. Era dunque molto più vicino al processo rivoluzionario marxista che è sì un processo graduale.
—Compagno Grimm
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