Elezioni in Regno Unito: Jeremy Corbyn, una svolta a sinistra del timone del Labour vs Theresa May, la Lady di Peltro

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Quando nel Regno Unito si vota per le elezioni del Parlamento e quindi del Primo Ministro è implicito che  il capo dei determinati  partiti é automaticamente il candidato Premier.

Sono giunti i dati definitivi di queste elezioni anticipante nel Regno Unito, e la premier Theresa May ha perso il governo, con un’incredibile rimonta laburista, grazie a Corbyn che ha raggiunto più voti di quando i Labour governavano sotto Tony Blair.É iconico osservare come il Partito del Lavoro, dato per spacciato da tutti i leader e i giornalisti nell’area della “sinistra liberale” per le idee filosocialiste di Jeremy Corbyn, abbiano raggiunto il miglior risultato dal 2005, a perfetta dimostrazione di come la propaganda socialista è ancora attuale ed anzi, non si è smentita nemmeno in uno dei Parlamenti più reazionari, quale la Camera dei Comuni.

Dopo il colloquio del boss dei Tories, Theresa May, presso la regina Elisabetta II, l’inquilina di Downing Street mantiene l’appartamento, ciononostante fallisce clamorosamente nel proprio intento di rafforzare il dominio conservatore, e si vede costretta ad avere l’appoggio del DUP ( Democratic Unionist Party ) dell’Irlanda del Nord per ottenere la maggioranza, avviando però una nuova fase d’instabilità in un Irlanda Britannica in cui il Sinn Féin detiene metà delle circoscrizioni, e sale a livello nazionale, propendendo ad una riunificazione dell’isola ibernica sotto Dublino.
Il terzo partito in numero di seggi è ancora il Partito Nazionale Scozzese, tuttavia ridotto tanto da far ritirare alla premier Nicola Sturgeon ogni intenzione di effettuare un referendum per l’indipendenza del popolo scozzese prima di quel marzo 2019, quando la Gran Bretagna uscirà ufficialmente e nominalmente dall’imperialismo tedesco-europeo.

Nello scenario elettorale, al contrario della Francia e come si prospetta in Germania a settembre, vi sono gli stessi partiti storici che hanno retto il governo della monarchia inglese nell’ultimo secolo. L’unico che avrebbe potuto sconvolgere la scena ormai classica era l’UKIP, che tuttavia, dopo la Brexit, non ha saputo dare una risposta concreta all’elettorato britannico, determinandosi la scomparsa.
Laburisti o Conservatori, dunque, e la conferma della May al 10 di Downing Street non è così scontata: il partito del Labour con la guida di Jeremy Corbyn ha riscosso un’importante crescita nei sondaggi, seppur da prendere con le pinze, mentre i Tories sono stati duramente sconfessati a causa delle inefficaci politiche anti-terroristiche e d’austerità, come la dementia tax, tassa sulle pensioni, il taglio dei fondi alle forze dell’ordine e alle scuole.

Il terremoto che l’UKIP non ha dato a destra, viene a sinistra dai Laburisti, che hanno sconfessato il neoliberismo di Blair e che mirano ad una socializzazione della Gran Bretagna, dopo il fallimento delle politiche della Thatcher visibile nella crisi odierna: la guida dell’ex-repubblicano Corbyn ne è la palese conferma.

Jeremy Corbyn, un pacifista che negli anni Ottanta, e tutt’ora, proclama che tutti gli attentati con ordigni siano sbagliati, mai proferendo parola specifica contro l’IRA, in assoluto contrasto con la linea che l’opinione maggioritaria britannica intende mantenere col popolo irlandese. L’ex-premier dell’Irlanda del Nord, l’unionista Arlene Foster, condanna il pensiero di Corbyn, mentre perfino tra i protestanti il Sinn Féin riscuote sempre maggior successo. Assieme al supporto ai palestinesi, il leader dei Labour presenta una nuova politica estera per la Gran Bretagna: non più una prosecuzione militarmente imperialista nell’illusione di considerarsi ancora una superpotenza mondiale, bensì, oltre ad un’uscita dall’UE il più seria e frutto d’un accordo possibile, egli esige il taglio totale del rifornimento di armi all’ISIS ed un intervento non militare, ma umanitario, del Regno Unito in Siria e Libia, nel rispetto della sovranità locale.

Quanto alla politica economica, l’antiausterità promossa ora dal Partito Laburista stride notevolmente col fantasma neoliberista di Tony Blair, ciononostante, si è finalmente capito che « non si possono risanare i conti di una casa vendendone i mobili », ossia che la dismissione dell’imponente apparato d’assistenza sociale britannico non risolve i problemi e le contraddizioni dell’economia capitalista. Alle elezioni di oggi, quindi, il Partito del Lavoro si descrive come un’ organizzazione socialdemocratica, sì piccoloborghese, ma con una base teorica filo-socialista.

La fuga della conservatrice May dai principali dibattiti televisivi non fa altro che rafforzare Corbyn, ormai a soli tre punti di distacco, secondo gli ultimi sondaggi, e in tal modo capace, nonostante i conservatori possano prendere la maggioranza relativa, di portare ai popoli della Corona di Gran Bretagna un governo stabile, alleando l’ egida laburista con i Liberaldemocratici, i Verdi, i nazionalisti Scozzesi e i nazionalisti Irlandesi.

Un caso interessante quello in Gran Bretagna, dove i populisti non attirano popolo, complice anche la mancanza di un programma concreto dopo l’uscita dall’Unione Europea, e dove la vera battaglia è tra le schiere rinnovate dei laburisti, e dei curiosi liberal-Conservatori che proseguono una fallita politica da ormai trent’anni.

– Compagno Emanuele

 

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