Era il 30 giugno 1960… l’ennesima pagina strappata dal libro della Storia

 

È da pochi giorni passato l’anniversario della manifestazione il 30 giugno nella ancora rossa Genova del 1960.

Dopo decenni la città, grazie alle recenti elezioni, si rivede a capo un sindaco della destra. Marco Bucci è un imprenditore  che è riuscito ad unire il centro-destra da Salvini a Toti, pur rimanendo abbastanza distante delle loro politiche: è così che è riuscito ad ottenere la maggioranza nella città. Genova, città che nella resistenza s’è tinta del rosso delle vittime fasciste e degli ideali della popolazione; città che per la sua lotta è stata premiata. Questa Genova che è proprio dai fatti del 1960 che ostinatamente ha rifiutato la destra.

Ma come è accaduto in tutte le città italiane storicamente attaccate alla sinistra, spesso estrema, l’aver dimenticato la ribellione ed il sangue versato sia nella resistenza che negli anni di piombo hanno portato ad un affidarsi automaticamente, come un operaio automaticamente comprerebbe i movimenti alienanti in una catena di montaggio, alla forza o forze denominate “di sinistra” e “democratiche” hanno portato ad una naturale delusione nella loro decadenza di fronte alla crisi. Una delusione senza coscienza, un piangere sul latte versato, un aver ripetuto le stesse frasi insegnate senza l’intenzione di capire che ha cancellato la coscienza.

“La storia insegna ma non ha scolari” si direbbe, dato che tutte le lezioni imparate ed i passi fatti in avanti sono state spazzate via dal vento di un rassegnato centrismo che negli ultimi anni ha colpito la maggiorparte degli stati occidentali. Proprio per questo, alla luce al cadere nelle false speranze del centrismo e del populismo di stampo M5S di  tutte le città che sono state fieramente degli avamposti della sinistra marxista e/o anarchica, si vede necessario ricordare ma soprattutto spiegare gli avvenimenti che la maggioranza delle nuove generazioni non conosce minimamente e che non vengono spiegati, neanche intrisi di propaganda spiccia, appunto a queste.

All’epoca il secondo governo Segni era caduto a causa degli attriti nati dall’apertura ai socialisti. Così da Gronchi venne assegnato al democristiano appartenente all’ala di sinistra del partito Tambroni il compito di costituire il nuovo governo.

Il 4 aprile il governo Tambroni ottenne la fiducia, ma con uno scarto minimo, probabilmente garantito dal voto a favore dei missini. Appunto questo particolare, oltre spingere alle dimissioni dei Ministri della destra della DC, scatenarono accuse di fascismo da tutta l’opposizione di sinistra e dal popolo contro il governo costituitosi. In mezzo alla bufera di accuse dal partito venne chiesto a Tambroni di dimettersi, e così fece l’undici aprile, ma data l’impossibilità di formare un nuovo governo con diversa maggioranza, il presidente della Repubblica rifiutò le dimissioni e Tambroni tornò al suo ruolo. Le sue tentate dimissioni avevano però offeso il MSI, che proprio da allora si allontanò dal partito. Ed è proprio a Genova che l’aria per una serie di circostanze e per l’avvenimento appena spiegato s’incendia: a Genova la DC aveva il potere, sebbene con una maggioranza minore rispetto alle altre città dove governava, ma il sindacato Pertusio dovette dimettersi il 25 maggio in quanto non si riusciva ad ottenere una maggioranza per l’approvazione dei bilanci, causata proprio per il voto contrario del MSI (ciò dimostrò ancora una volta l’importanza della collaborazione). Il suo posto venne preso dal commissario speciale  Nicio Giuliani, che vi rimarrà fino al 8 febbraio 1961.

Inoltre il capoluogo ligure era scenario di lotte sindacali e chiusura di industrie nel boom economico, situazione che estremizzava il malcontento. Ma la vera casus belli fu l’indizione del XI congresso del MSI a Genova, città decorata con la medaglia d’oro alla Resistenza, e la probabile partecipazione di Basile, ricordato per la sua collaborazione con i tedeschi e l’organizzazione di torture contro ribelli di ogni genere. L’iniziativa di protesta contro il congresso partirono da un discorso del presidente dell’assemblea costituente Terracini il 2 Giugno tenuto in provincia di Genova e dalla copia dell’unità del 5 dello stesso mese, dove si pubblicava una lettera di un operaio che invitava anch’essi a resistere e protestare contro la decisione missina.

Il 6 giugno i partiti comunista, socialista, repubblicano e radicale si mettono d’accordo e diffondono un manifesto contro al congresso. Il 13 giugno si unisce ufficialmente la camera del lavoro.

Il 15 giugno si ebbe una prima manifestazione, con alta partecipazione, e si videro alcuni scontri tra missini e antifascisti.

Il 24 giugno invece fu vietato dalla questura il comizio della camera del lavoro, in quanto non programmato in tempo per la legge.

Il 25 in un nuovo corteo vi furono scontri con la polizia. In quel giorno si decise un’altra manifestazione per il 2 luglio.

Venne consegnata al presidente Tambroni una nota dal MSI dove si avvisava che si avevano motivi di temere per la sicurezza nella prossima manifestazione indetta e che uno dei membri aveva proposto di vietare questa da parte del governo, e che il congresso di sarebbe tenuto, ma si sarebbero portati dei militanti “pronti a menar le mani”.

Il 28 giugno al comizio partecipò con un fiammante discorso Pertini dicendo:

 «Libertà, giustizia sociale, amor di patria. Noi siamo decisi a difendere la Resistenza. Lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei morti e per l’avvenire dei vivi, lo compiremo fino in fondo. Costi quel che costi»

Queste parole appartengono all’intervento chiamato dai genovesi “il fiammifero” proprio per l’effetto che ebbero.

Il 29 giugno venne indetto dalla maggioranza delle forze contro il MSI una manifestazione per il 30 giugno. Riguardo questo la UIL distolse ,o almeno tentò,la gente dal parteciparvi, mentre la CISL ne rimase distaccata. Inoltre venne sostituito il questore genovese  con Giuseppe Lutri, noto per l’attività reazionaria durante il fascismo, la visita dei carabinieri per un’ispezione della città e l’arrivo della celere di Padova (esperta in repressione di guerriglia).

Tutto ciò costituivano un mix esplosivo per la situazione genovese.

Il 30 la manifestazione procede senza troppi guai e il percorso stabilito viene percorso senza problemi, ma alla fine di questa parte della folla si dirige verso piazza de Ferrari, cantando inni partigiani e fischiando le forze dell’ordine. Arrivati in piazza si fermano dove la fontana: lì ci sono la polizia ed i loro mezzi motorizzati. La folla continua a fischiare la polizia e cantare inni partigiani. Con gli idranti si tenta di disperdere la folla, ma poi si passa alle cariche finché non si arriva all’uso di jeep, fumogeni e armi da fuoco. La città s’incendia: i manifestanti non esistano a difendersi e nelle callette la gente dai balconi tira vasi ed altri oggetti alla polizia che insegue i ribelli. La situazione continua a peggiorare ed al fine lo Stato, per paura di arrivare ad un fuoco sulla folla (cosa che accadrà nei giorni successivi in altre città), patteggia con l’opposizione per ritirare la polizia senza arresti in cambio di una tregua.

L’accordo ha successo, ma si indice uno sciopero per il 2 luglio. Lo sciopero verrà poi però disdetto dato che il MSI rinuncerà al congresso (avendo rifiutato la proposta di farlo in una zona diversa della città) ed il governo Tambroni il 14 luglio cadrà. Nei giorni seguenti al 30 giugno molte altre città seguono l’esempio, ma con conseguenze molto più gravi: le forze dell’ordine aprono fuoco e oltre che feriti si hanno innumerevoli morti.

I fatti vennero distorti in vari modi dai giornali e poi dai politici (tra cui Tambroni). Alcuni dicono che siano stati i manifestanti ad attaccare fisicamente la polizia per primi, mentre altri inoltre usano la tristemente nota tecnica del dipingere i protestanti come semplici vandali, che rovesciavano cestini e distruggevano beni pubblici.

Si sviluppa​ poi però in seguito la teoria secondo la quale il PCI aveva macchinato questa situazione per prendere il potere. Questa idea si diffuse soprattutto per la visita di Togliatti a Mosca e per la preoccupazione degli stati uniti e dei loro media per la vicenda Italiana. Questa ipotesi però non ha basi in quanto la situazione ha portato vantaggio più al PSI, i quali però avevano già visto aprirsi le porte per delle alleanze in passato. Una storia passata, dimenticata e trascurata, ma che risulta molto familiare in numerosi punti e per il tipo di menzogne, collaborazione del capitalismo con il neofascismo e poi l’abbandono di questo finita la sua utilità, la violenza della polizia, l’ignavia dei grandi sindacati se non la loro collaborazione.

Solo una cosa manca: di certo la forza che ha avuto il popolo​ ed i rappresentanti, la coscienza…questi sono rari in questi giorni, anche se non sono assenti. Anzi, sempre più spesso si stanno risvegliando, e proprio questo può darci di nuovo l’occasione di mostrare l’anticapitalismo come valida scelta, epurato da ipocrisie socialdemocratiche o capitaliste di stato.

Ma l’occasione va colta, saputa sfruttare, perché l’idea di una spirale che continua a scorrere per inerzia e a riportare certe situazioni non è nostra. Ora come non mai serve una diffusione dall’interno delle masse delle idee socialiste, non dimenticando nessun particolare per evitare gli errori del passato. Ed è in questa fede, una “fede che sarà la legge dell’avvenir”, che va riscattato il proletariato contro qualsiasi menzogna ed egemonia culturale.

E per far questo non va dimenticato nulla, soprattutto le cose che raramente vengono rimembrate dallo Stato e da tutti i suoi difensori.

― Compagna Laura

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