La Germania fugge dai partiti storici

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Il 24 settembre si sono svolte le elezioni per il Bundestag, il Parlamento federale tedesco, e di conseguenza per la Cancelleria, ed il governo dell’Aquila d’Europa.

Dal calo al 33% e al 20,5% rispettivamente della CDU/CSU e dell’SPD, si deduce come l’elettorato tedesco tenda ad esulare dai due partiti storici della Germania occidentale postbellica, che tuttavia, nonostante la batosta elettorale, rimangono il primo e il secondo. È la crescita vertiginosa di consenso del partito di destra Alternative für Deutschland, sebbene abbia un impianto economico essenzialmente liberale, a creare sorpresa e sgomento tra le compagini mediatiche del Vecchio Continente, apparentemente spiegabile con l’oppressione politica della DDR, dove raggiunge i maggiori consensi, fino al primato in tre collegi elettorali. Sono passati quasi 28 ani dalla caduta del Muro di Berlino, com’è possibile che solo ora si manifesti il supposto malcontento del Socialismo Reale in uno sfogo «a destra»?

Sono dati che non sorprendono, proprio per l’effettiva divisione sociale della Germania in due. I tedeschi dell’est, infatti, sono come colonizzati dalla potenza imperialista dell’ovest, che ha tra l’altro spostato la capitale nella storica Berlino. A questo reciproco sentimento di mutua opposizione e di rivalsa degli orientali all’interno della Bundesrepublik, l’AfD ha risposto parzialmente alle esigenze politiche di questa popolazione soggiogata. L’AfD s’è infatti proposto come movimento contro la vecchia politica, alla quale la Linke pareva appartenere, prima delle elezioni. Sta di fatto che si basa sull’affascinamento dell’elettorato anziano tedescorientale, caratteristico delle vecchie zone industriali della DDR, sulla classica propaganda di destra odierna, che non nomina mai l’apparato economico, invece messo in risalto da partiti anticapitalisti quali die Linke. È inoltre da soppesare attentamente i dati: questi presentano delle scansioni arbitrarie che non riescono a dare l’effettivo supporto della popolazione a quel partito. Infatti, seppur minima, c’è stata una crescita di die Linke, specialmente a Berlino e nella Saarland.

La DDR non ha infatti causato con l’«oppressione politica» il fenomeno di rivalsa nel confronto delle ideologie socialiste, ma l’esasperazione dei cittadini tedescorientali nei confronti della massiccia colonizzazione da parte occidentale. La DDR prima della caduta del Muro e immediatamente prima dell’annessione non era in un grande deficit industriale rispetto all’Ovest, si poteva considerare al livello economico della Baviera o della Niedersachsen. La colpa dell’effettiva differenza industriale tra le due parti risiede nelle aggressive privatizzazioni che hanno seguito l’annessione: fabbriche importanti, non solo a livello interno, ma internazionale, sono state scisse e smantellate dal nuovo governo e soprattutto dall’élite dell’Ovest che si vedeva minacciata direttamente dalla potenzialità concorrenziale nel libero mercato di questi gruppi industriali, ma che però erano indifesi, essendo crollata assieme al Muro la nomenklatura che li possedeva di fatto. La DDR non è la causa, ma il depredamento barbarico dei fiori all’occhiello dell’intero mondo socialista reale, con conseguenti tassi di disoccupazione altissima e reindustrializzazione a macchia di leopardo per mezzo di colossi tedeschi occidentali. C’è anche da considerare la delocalizzazione: diverse fabbriche della Germania Est producevano per la Germania Ovest, perché era più conveniente per gli importatori nella BRD, pagando di meno gli operai, e con la riunificazione e la tendenza del governo federale a pareggiare i salari e il potere d’acquisto da ambo le parti le differenze proprie per la delocalizzazione si vedono annullate, annullandosi quindi anche il guadagno economico degli industriali occidentali.

Per quanto riguarda poi l’istruzione odierna impostata su modelli occidentali, che dunque demonizzano le vecchie repubbliche democratiche, popolari o socialiste del capitalismo di stato di base staliniana, è innegabile che influiscano molto sul pensiero politico degli elettori, ma i fasti di potenza industriale socialista reale tardano ad essere dimenticati, come dimostrano i voti della Linke, tali da ottenere 69 seggi. Inoltre le stesse elezioni in uno Stato borghese sono atte a isolare movimenti socialisti, comunisti e ostalgici proprio per l’ombra alternativa che gettano sul modello capitalista di mercato.

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Maggioranza relativa in ogni circoscrizione tedesca

Nonostante tutto, l’Unione Cristiano Democratica detiene ancora una volta il poter di governo, e si sviluppano entro Natale diverse opzioni di reggere una Germania sempre più tendente all’ingovernabilità. La proposta più accreditata ad ora è la Jamaika-koalition, ossia un governo nero-giallo-verde, che veda coinvolti oltre alla CDU/CSU e al risorto FDP, il Partito Liberaldemocratico Tedesco, anche i Verdi, permettendo di raggiungere i 393 seggi su 709 e di poter governare tranquillamente. Ciò non tiene conto dei dissensi storici tra Verdi e Liberaldemocratici, che si affrontano con risoluzioni opposte ad argomenti quali l’ambiente e l’ecologia. Un’altra possibile soluzione di maggioranza di Governo, come caldeggiato cautamente dalla CSU, la CDU versione bavara, è di un’alleanza di tutte le destre, dal FDP al nazionalista AfD, ma la cancelliera Angela Merkel, fortemente europeista riconfermata con queste elezioni, non sembra prendere in considerazione un’alleanza anche nominalmente contro l’Unione Europea, che ha finora dominato. Sembra esclusa una riproposizione di una Große Koalition, specie con il primato di Schulz nel Partito Socialdemocratico Tedesco, che ha basato l’intera sua candidatura alla Cancelleria proprio con una opposizione a nuove larghe intese, ma lui e il suo partito hanno scontato con la fuga di consensi l’atteggiamento troppo personalistico e scarso di vere svolte rispetto al passato, come se Martin Schulz solo fosse stato un programma argomentato e preparato.

Di certo in Germania si conosce solo la figura della Cancelliera: quest’austera Mutti che inaugura un quarto mandato di fila rivolto ad un futuro d’incertezze.

— Compagno Emanuele

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