Emmanuel Macron, ecco il nome che attira le attenzioni della stampa mondiale sulla Francia, almeno fino alla sua vittoria scontata nelle elezioni legislative dell’11 giugno, e dal suo libro Rivoluzione. Infatti, il dopo-elezioni non viene narrato e discusso dai media, che decantano la figura di questo «Renzi riuscito», forse per i dati tremendi che un sondaggio dell’Ifop, Institut Français d’Opinion Publique, ha rivelato.
Dopo cento giorni dall’elezione, infatti, la sua popolarità è crollata al 36%, quando la presidenza più impopolare della Vême République, quella di François Hollande, alla stessa data aveva dieci punti percentuali in più nell’approvazione da parte dei francesi. Il paladino del neoliberismo e della lotta ai tanto accusati populismi si sta dimostrando, dunque, come quello che in molti temevano: un mezzo splendente della reazione alla coscienza di classe che ricomincia a diffondersi in questo centenario dalla Rivoluzione d’Ottobre, come infatti si prospetta il suo programma e la sua attuazione. Mentre solo il 45% del popolo francese ritiene che stia rispettando il suo programma, una cifra che paragonata ai 56% del predecessore Hollande dà da pensare, Monsieur le Président ritenta l’approvazione della loi travail, il jobs act francofono, sua creatura che portò all’affossamento del già difficile governo del Parti Socialiste di Hollande, tramite una serie di autoritari decreti governativi senza ricorrere all’approvazione del Parlamento, come approvato dallo stesso circa un mese fa, così da evitare, esautorandolo, anche un’ipotetica opposizione in quella compagine schiacciante di En Marche!, il partito ad personam del presidente, nato e cresciuto esponenzialmente per ingenti finanziamenti da parte delle maggiori banche mondiali, in ispecie dalla Rothschild & C.ie Banque, grazie alla quale divenne milionario col suo impiego precedente alla vita politica.
Questa escalation di mosse autoritarie può addurre dei legittimi dubbi su chi fosse il candidato dell’estremismo, data la volontà di Macron nell’ignorare i processi della democrazia borghese in un colpo di stato legalizzato, provocando un ulteriore malcontento alle altre riforme in via d’attuazione nella repubblica col debito più alto d’Europa: sono progettati infatti dei tagli ai sussidi per gli affitti, l’aumento delle tasse per l’assistenza sociale e sul tabacco, delle misure che incideranno direttamente sugli oppressi di Francia, tra cui circa 800 mila studenti. Come se non bastasse, l’Istituto di Studi Politici di Parigi SciencesPo ha esaminato la proposta della nuova riforma fiscale, alla quale manca solo la firma del Presidente, affermando che il 10% più ricco della popolazione francese otterrebbe il 46% dei benefici della riforma, e per coronare il tutto, la loi travail è stata inasprita rispetto alla sua proposta, bocciata, del governo Valls: in pieno tsunami neoliberista il progetto prevede che verrà semplificato licenziare e verrà dato più potere ai padroni di come disporre i propri salariati, mentre questi vengono decurtati del potere sindacale, ridotto dalla legge in imminente approvazione.
Nel frattempo Emmanuel Macron continua la sua politica propagandistica, nel suo libro pre-elettorale Rivoluzione, per mascherare il bisogno degli oppressori di un pugno di ferro per lo smantellamento dell’apparato assistenziale statale, depurandolo dagli adesivi socialdemocratici, come una positiva «rivoluzione liberale», in una spietata corruzione del termine che ispirò i lavoratori a prendere coscienza e a cambiare, veramente, le cose.
— Compagno Emanuele
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