Quest’ultima settimana ha confermato i più terribili presagi: Donald Trump è esattamente allineato al partito Repubblicano storico; una forte militarizzazione del Paese, che probabilmente verrà condotto in guerre aperte. Alla base di questo cambiamento radicale nell’ideologia di Trump, sitano due principali cause: un parziale, ma sostanzioso, proprio acquisto azionario delle industrie manifatturiere d’armi, con conseguente conflitto d’interessi , e il tentativo, riuscito, di aumentare il proprio prestigio presidenziale all’interno della Nazione americana.
Lo spostamento della portaerei nucleare Carl Vinson e di sei incrociatori nelle acque adiacenti la penisola coreana ha provocato una forte reazione da parte di Phongan, peraltro proprio nella Giornata del Sole, la ricorrenza del compleanno del Presidente Kim Il-Sung, una delle festività più importanti in Corea del Nord, culminata col tentativo di lancio di un potente missile intercontinentale durante la notte scorsa, fallito fortunosamente subito dopo. Al contempo, il vicepresidente statunitense Mike Pence, è giunto a Seul per appesantire la presenza americana nella colonia sudcoreana col premier-presidente facente funzione Hwang Kyo-ahn, e nel vassallo giapponese, dal cui primo ministro Shinzo Abe si recherà martedì a Tokjo per rafforzare l’intesa anti-nordcoreana. Curiosamente, Pence è il figlio di un reduce della Guerra di Corea, dunque la sua presenza non è affatto casuale: è evidente che s’aspetta un casus belli per poter rovesciare la Repubblica Democratica Popolare di Corea , nonostante le smentite di un personaggio ipocrita quanto il POTUS Trump.
Il vero fulcro della stabilità nella penisola coreana è Pechino; le 150.000 truppe affermate d’essere dislocate lungo il confine nordcoreano possono avere una duplice funzione: proteggere l’antico alleato, un perfetto stato-cuscinetto anche dal punto di vista economico per evitare la presenza del Patto Atlantico sui confini cinesi, o per incutere timore in linea con le affermazioni ottimiste della Casa Bianca, alle quali con insolita durezza risponde il premier Nordcoreano Pak Pong-Ju: «La Repubblica Democratica Popolare di Corea non rimarrà inerme alle provocazioni americane, anzi, ribatterà veementemente ad un’eventuale offensiva alla Nazione» ha rilasciato al Rodong Sinmun, il quotidiano del Partito del Lavoro di Corea.
Nonostante ciò, gli Stati Uniti non intendono lasciarsi scoraggiare anche in una probabile neutralità o avversità cinese, che intanto guarda alla Russia per mantenere la pace in Corea, affermando in un twitt che potrà prendere decisioni unilaterali, trascinando l’intera Nato in un conflitto che potrà prendere le dimensioni globali.
Lo sgancio della MOAB ( Massive Ordinance Air Blast , ribatezzata in “Mother of all bombs”) da parte di un C130 americano nella provincia afghana di Nangarhar, avrebbe provocato, secondo lo stesso governo provinciale, 96 morti tra i miliziani del Califfato, tuttavia Amaq, l’agenzia dello stato islamico, afferma che non v’è stato nemmeno un decesso provocato dall’esplosione della superbomba. Trump si è subito detto contento della riuscita del raid, specie come monito al governo nordcoreano, dopo aver dato carta bianca all’esercito per quell’operazione, e il portavoce della Casa Bianca Sean Spencer ha subito dichiarato che servisse a distruggere una rete di tunnel del califfato di al-Baghdadi. Intanto il Moscow Times ha puntualizzato l’imprecisione degli americani di aver definito la propria come la bomba non-nucleare più potente, ed in un clima da perfetta Guerra Fredda, ha precisato infatti che la Federazione Russa detiene il possesso di un’arma definita «Il padre di tutte le bombe», da una potenza parimenti a circa 40 tonnellate di tritolo, al confronto con le 11 della MOAB, pur mantenendo un peso minore.
– Compagno Emanuele
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