Trump aumenta il consenso con la linea militarista

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Il 15 settembre un ICBM in livrea nordcoreana sorvolava la più settentrionale isola giapponese, Hokkaido, e si tuffò a 2.300 km dalla partenza all’aeroporto internazionale di Phyŏngyang-Sunan, nel mezzo dell’Oceano Pacifico. Un notevole potenziamento della traiettoria, se confrontato ai 1.700 km di due settimane fa, e annovera finalmente una visualizzazione di uno status quo tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord: infatti il territorio coloniale statunitense di Guam, distante 2.100 km in linea d’aria dalla capitale nordcoreana, si trova dunque nell’area di bersaglio dell’aviazione missilistica nordcoreana. L’élite militare che regge il settentrione della Corea può infatti minacciare direttamente gli Stati Uniti, e rendere fondate le dichiarazioni marcatamente patriottiche da parte del Brillante Leader: «Potremo attaccare gli stati-fantoccio americani in Asia», riferendosi all’ipocrita presidenza di Mun Jae-in, che ha incarcerato diversi capi dell’opposizione filo-unitaria jucheana per sopprimere le manifestazioni, e di Shinzo Abe, il primo ministro giapponese che ha aumentato la spesa per l’esercito, così da far installare l’inefficiente THAAD e quindi far guadagnare cifre esorbitanti alle industrie militari statunitensi.

Di tutta la questione coreana, difatti, è proprio la classe dominante americana a guadagnarci in maggiori numeri, sia con la corsa agli armamenti per contrastare l’accelerazione della RDPC, che vendendo costosissimi e obsoleti apparati difensivi e offensivi ai territori “minacciati”, in massima parte Corea del Sud, Giappone, Repubblica Nazionalista Cinese e Stati Uniti, dall’esuberanza dirigista marchiata Juche. È quindi ragionevole pensare che la crisi coreana finirà solo quando si saranno saturati i mercati di materiale bellico in Estremo Oriente, perciò sarà necessario, per le manifatture d’armi, sfogare il surplus in una guerra vera e propria, forse fornendo di materiale anche l’altra parte, un po’ come con lo Stato Islamico. Due piccioni con una fava, per il Presidente Trump, che vede crescere velocemente quanto la tecnologia nordcoreana il proprio indice di gradimento, registrando, secondo studi su un campione idealizzato di statunitensi, un aumento di circa il 10-15%, dopo il crollo a luglio, sfiorando il 45%. La sua risposta «fuoco e fiamme», rimasta ovviamente verbale, sembra aver esaltato l’opinione pubblica, tra cui parecchi democratici, e la risoluzione dell’uragano Irma in Florida, drastica come nei film apocalittici da bollettino sbancato, ha aumentato questa tendenza.

Una realtà che assomiglia sempre più ad una pellicola: un conflitto d’interessi regge la pace e la guerra del mondo intero.

— Compagno Emanuele

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